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Per esempio, lo sconsigliare – con grande correttezza professionale – alla clientela di avviare una precisa attività giudiziaria, pur potendo sembrare per qualcuno di essi come un elemento di debolezza, finisce con il rappresentare per i soci di questo studio legale soltanto una motivazione di grande e del tutto produttiva per gli stessi a medio e lungo periodo, oltre che motivazione di estrema serenità.
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E sono moltissime le volte in cui i nostri legali cercano di sconsigliare i propri assistiti in merito a quanto detto, ottenendo tuttavia la grande considerazione da parte degli assistiti che proprio per siffatte ragioni si rivolgeranno nuovamente a siffatto studio e consiglieranno anche i loro amici e parenti a fare ciò.
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L’esperienza dei nostri antecedenti maestri ci ha permesso di condurre una qualificata prestazione professionale, nel senso che è sempre meglio per i nostri assistiti una scorretta transazione che, un positivo processo che arrivi, tuttavia, dopo tanto tempo e spese molto onerose!
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Come si richiede il risarcimento dei danni da mancata o sbagliata assistenza medica nel settore ospedaliero? Colpevolezza medica e responsabilità contrattuale come da continua posizione della suprema corte di cassazione, nel caso in cui un paziente viene accolto in un complesso sanitario, sia pubblico che privato che sia, e questo per un ricovero di qualsiasi tipologia, si considera stipulato con l’ospedale un contratto atipico chiamato di “spedalità”.
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Allo stesso tempo, nei riguardi dei medici che hanno il compito di assistere i loro pazienti nelle strutture ospedaliere, si determina, fattivamente, la messa in atto di una relazione necessaria chiamato contatto “sociale”, nel caso in cui la salvaguardia allo stato di salute (tutelato a livello costituzionale) si elevano a disposizioni sopra descritte in merito a qualsiasi altro sistema di perfezionamento di un qualsiasi trattativa bilaterale (infine si considerino cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in motiv.; cass. 1° settembre 1999, n. 9198; cass. 11 marzo 2002, n. 3492; cass. 14 luglio 2003, n. 11001; cass. 21 luglio 2003, n. 11316, in motiv.).
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Dunque, le autorità competenti, evidenziate i suddetti presupposti, hanno inoltre precisato che pure con il sanitario che dipende da quell’azienda si stipuli effettivamente quel contatto “sociale” già richiamato; e siffatta situazione deve valere sia per i sanitari che dipendono dipendenti da una struttura pubblica, con contratto privato (come può accadere principalmente per i ruoli cosiddetti "primari"), rispetto alle circostanze di sanitari privati - "casa di cura". In merito a ciò, sembra giustificata la complessa questione giuridica della colpevolezza medica contrattuale suddetta dalla seguente cass., sez. iii, 22-01-1999, n. 589: “ … - omissis - … va immediatamente evidenziato che non contestare la precisazione come "contrattuale" della responsabilità del medico che dipende da un’azienda sanitaria, cercando di limitare l’invocazione della rigidità delle disposizioni delle fonti ex art. 1173 c.c., che non determinerebbero obblighi contrattuali senza regolare contratto.
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Difatti la normativa più recente ha evidenziato che l’art. 1173 c.c., precisando che gli obblighi provengono da contratto, da azione illecita o da altra azione diretta a cagionarle in riferimento alla legislazione, permette l’inserimento tra le fonti di criteri, principalmente di carattere costituzionale (tra cui, con particolare riferimento alla tipologia, può inserirsi il diritto alla salute), che trascendono singole disposizioni di legge.
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Considerata la circostanza di legge prescritta per rendere efficaci alcuni contratti nulli (art. 2126, c. 1, 2332, c. 2 e 3, c.c., art. 3 c. 2 l. n. 756/1964), ma estesa inoltra a considerare le circostanze di relazione che in termini legali sono di natura contrattuale e comunque in realtà sono rappresentati senza una fondamento negoziale e spesso grazie al semplice "contatto sociale" (in merito ad una concezione che riguarda l’ambito tedesco), ci si riferisce, in siffatte circostanze alla "relazione contrattuale fattuale o da contatto sociale".
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con siffatta disposizione si considera una doppia opinione di tale ambito, analizzato sia in base alla fonte (il fatto atto a determinare l’obbligo in conformità della legislazione - art. 1173 c.c. -) sia in base alla relazione che ne deriva (e quindi assorbe la considerazione della relazione, che si atteggia ed è regolamentato in merito all’obbligo da contratto).
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Siffatto ambito evidenzia una eventuale discrasia tra la fonte - evidenziata in relazione all’art. 1173 - e l’obbligo che ne deriva. Quest’ultima può essere soggette a normative proprie dell’obbligo contrattuale, pur se l’evento che lo determina non è il contratto.
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In siffatto ambito, dunque, si prevede che gli obblighi vengano determinati da relazioni contrattuali di fatto, nelle circostanze in cui alcune persone entrano in contatto, senza che siffatto rapporto determini le note circostanze negoziali, e pur sempre comunque ad esso si connettono obbligazioni di condotta di vario tipo, per fare in modo che vengano salvaguardati gli interessi che si sono presentati con la stipula del contatto stesso.
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In tal caso non può esservi (soltanto) responsabilità aquiliana, in quanto la stessa non deriva da trasgressione di obbligazioni ma dalla lesione di circostanze giuridiche soggettive (è difatti ormai evidente che, in merito all’art. 2043 c.c., l’ingiustizia non è attribuita al fatto, ma al danno); quando si presenta la trasgressione di obbligazioni, la responsabilità è per forza contrattuale, in quanto la persona non ha fatto ("culpa in non faciendo") quello a cui era obbligato rispetto ad un precedente "vinculum iuris", in base al modello della responsabilità contrattuale.
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Una posizione in tal merito sembra evidenziarsi in cass., sez. i, 1.10.1994, n. 7989, per la quale la responsabilità extracontrattuale si determina soltanto nel caso in cui la richiesta di risarcimento sia presentata nei riguardi di una persona artefice di un danno ingiusto non connesso all’artefice da alcuna relazione giuridica antecedente, o tuttavia autonoma da siffatta relazione, invece, se alla base della richiesta sia espressa l’inadempienza di un obbligo intenzionalmente contratta, ossia pure proveniente dalla legge, si può presupporre semplicemente una responsabilità contrattuale. 6.3.
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Quanto evidenziato accade per il lavoratore di una professione cd. protetta (ovvero un’attività per cui si richiede una particolare abilitazione statale, art. 348 c.p.), principalmente se siffatta attività costituisca beni tutelati a livello costituzionale, come accade per l’attività medica (che è la situazione della tipologia in questione), che ricade sul bene della salute, salvaguardato dall’art. 32 cost. in realtà a questa tipologia di attività professionale la coscienza a livello sociale, prima ancora che la legislazione, non si limita a prevedere un non facere e ossia il rispetto dell’ambito costituzionale di colui che gli si affida, ma precisamente quel "facere" in cui si realizza l’abilità professionale che lo contraddistingue in qualsiasi momento (l’abilitazione alla professione, consegnatagli dalla legge, difatti, prescinde dal fatto se siffatta prestazione deriverà o meno da un contratto).
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In altre parole l’attività (utilizziamo un nome generico) sanitaria del medico nei riguardi di un soggetto è sempre uguale, a prescindere se vi sia o meno un contratto di prestazione professionale tra i due.
Questo deriva dal fatto che, riferendosi ad una prestazione di pubblica utilità, che non può condursi senza una particolare abilitazione statale, da parte di persone di cui il "pubblico è tenuto per legge a valersi" (art. 359 c.p.), e dunque riferendosi ad una professione tutelata, lo svolgimento di siffatta prestazione non può essere differente a seconda se vi sia o meno un contratto.
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